Il calo della natalità in Italia era previsto da molto tempo, per via del progressivo invecchiamento della popolazione. Quello che nessuno a suo tempo aveva previsto è stata la velocità del declino delle nascite, accelerato dalla crisi iniziata nel 2008, un lungo tunnel di cui non si vede ancora la fine. Da qui il crollo del numero degli italiani residenti nel nostro Paese, scesi clamorosamente a quota 55 milioni. E per fortuna che c’è ancora l’immigrazione, perché secondo Eurostat senza arrivi dall’estero l’Italia sarebbe destinata a dimezzare la sua popolazione a quota 30 milioni entro il 2100 (mentre con l’apporto dei migranti il calo si fermerebbe “solo” a 45 milioni). Sul versante natalità, lo scarto tra le previsioni precrisi e la realtà è plasticamente evidente in questo grafico, dal quale non si vede nemmeno un accenno di ripresa:
Ma il numero di nascite complessive, legato alla diminuzione di donne in età fertile, racconta solo una parte della realtà. Quello che fa veramente paura è il crollo del numero medio di figli per donna, misurato dal tasso di fecondità totale. Come evidenziano su Neodemos.info i demografi Alessandro Rosina, dell’Università Cattolica di Milano, e Marcantonio Caltabiano, dell’Università di Messina, dopo aver raggiunto nel 2010 un massimo dal 1995 di 1,46 figli, il tasso di fecondità totale è sceso senza fermarsi mai fino a quota 1,32, il più basso valore in Europa.
La discesa, spiegano i demografi, è frutto del rinvio della nascita di un figlio da parte di molte coppie, in attesa di tempi migliori, ma anche della rinuncia definitiva di sempre più donne ad avere figli. Una situazione allarmante, ma non irreparabile. Guardiamo infatti alla dinamica delle nascite italiane confrontata con quelle della provincia di Bolzano:
Nonostante la crisi, in provincia di Bolzano il tasso di fecondità totale cresce anziché diminuire, superando addirittura la soglia di 1,7 figli. Con una dinamica completamente opposta a quella dell’Italia nel suo complesso. Come spiegano Rosina e Caltabiano, in Alto Adige «la cultura della conciliazione tra lavoro e famiglia è consolidata nelle aziende come valore condiviso, comprese le piccole imprese alle quali è fornito supporto qualificato per sperimentare soluzioni specifiche e innovative: l’offerta dei servizi per l’infanzia è versatile e diversificata, stimolando anche l’iniziativa privata, ma con garanzia di qualità certificata dal pubblico».
Se l’Italia nel suo complesso avesse un tasso di fecondità simile a quello della provincia di Bolzano la “battaglia demografica” sarebbe stata vinta da tempo. Anzi, per fermare l’emorragia basterebbe molto meno: già arrivare a 1,45 figli per donna garantirebbeal nostro Paese entro il 2027 di avere un numero di nati costante rispetto al 2017.
«Per riportare invece il numero dei nati verso quota 500mila servirebbe un impulso leggermente più forte – sottolineano ancora Rosina e Caltabiano – che corrisponde a una fecondità pari a 1,58 figli per donna: un livello comunque più modesto sia della media europea che della Germania, che dieci anni fa partiva da valori inferiori ai nostri e che nel 2017 è arrivata a quota 1,60». Per raggiungere quest’obiettivo sono indispensabili politiche a sostegno della natalità e della famiglia davvero incisive, che ancora non si sono viste alle nostre latitudini.
E in Europa? L’andamento della natalità nei vari Paesi del Vecchio Continente è illuminante sul tipo di dinamiche in atto. Il tasso di fecondità totale è infatti in flessione in tutta l’Europa occidentale, Francia compresa:
Ma il numero di figli per donna risulta in calo anche nella Penisola Scandinava, con la parziale eccezione della Danimarca, quindi in Paesi dove non solo la crisi economica si è rivelata meno pesante che nel resto d’Europa (Islanda esclusa), ma soprattutto dove il welfare è da sempre all’avanguardia nel campo delle politiche a sostegno alle famiglie e alla riconciliazione lavoro-famiglia. Nel 2017 in Finlandia e Norvegia, i due Paesi considerati più felici del mondo, il tasso di fecondità totale è scivolato ai livelli che non si vedevano dai primi anni Sessanta del secolo scorso, quando quei due Stati scandinavi erano molto meno ricchi di adesso.
Come è possibile che Paesi ricchi e dotati di politiche all’avanguardia nel sostegno alla famiglia seguano lo stesso destino della traballante Italia nelle dinamiche della natalità? Secondo Caltabiano e Chiara Ludovica Comolli dell’Università di Stoccolma, il declino delle nascite non è legato solo al peggioramento effettivo delle condizioni economiche delle famiglie, ma anche alla percezione di incertezza economica e sociale, che influenza trasversalmente il comportamento anche in presenza di condizioni materiali diverse.
«Sappiamo infatti che la recente crisi economica ha avuto un impatto negativo sui tassi di fecondità non solo attraverso l’aumento della disoccupazione, la precarietà dei contratti e l’abbassamento dei redditi, ma anche attraverso il crescere della sfiducia dei consumatori e dell’incertezza economica – spiegano i demografi sempre su Neodemos.info – . Le (seppur minime) restrizioni al welfare applicate nei Paesi nordici in risposta alla crisi, sommate alla percezione di incertezza economica proveniente da altri Paesi europei, i cui destini sono sempre più legati tra loro, hanno generato insicurezza anche in Paesi dove la crisi ha avuto effetti concreti marginali».
Nei Paesi dove i Governi non hanno contrastato l’incertezza sul futuro attraverso nuovi incentivi, concreti e di lungo periodo, l’investimento delle famiglie nella procreazione è visto insomma come troppo rischioso. Scandinavia compresa.
A sorpresa, esiste però un gruppo di Stati dove il tasso di fecondità totale è in crescita anche dopo il 2008, in netta controtendenza con il resto d’Europa. Sono la Germania e i Paesi dell’Est del cosiddetto “gruppo di Visegrad”, ossia Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca.
Germania a parte, non si tratta di Paesi con livelli di reddito paragonabili a quelli dell’Europa occidentale. Come è possibile allora che i tassi di fecondità siano in costante aumento, in particolare in Repubblica Ceca? La risposta è sempre la stessa: la differenza la stanno facendo le politiche di sostegno alla natalità, adottate a cavallo della crisi economica sia dalla Germania che dai Paesi del Gruppo di Visegrad con le loro politiche pronataliste, dove la fecondità ha raggiunto i massimi degli ultimi vent’anni e nel caso della Germania dal lontano 1973.
La morale, secondo i demografi, è che in un’Europa sempre più vecchia e incerta sul suo futuro sia determinante rilanciare politiche a sostegno della natalità con incentivi decisi, concreti e di lungo periodo. A partire, naturalmente, dal Paese che ha il tasso di fecondità totale più basso di tutti: l’Italia.
(Enrico Marro)
Fonte: Il Sole 24 ORE.