Con l’eccezione del fascismo, che lo faceva ovviamente per tutt’altri scopi (avere futuri soldati per le future guerre del Duce), le questioni demografiche non hanno mai avuto tanto spazio come oggi. Ormai si pubblicano di continuo libri e articoli (anche all’estero: l’ultimo sul Financial Times del 18 gennaio) che denunciano il crollo delle nascite in Italia e le sue conseguenze negative: già adesso sulla crescita economica e ancor più, in un futuro non troppo lontano, sul sistema previdenziale se e quando avremo una persona in età da lavoro per ogni pensionato. Sono sconosciute, ma in prospettiva non meno rilevanti, le conseguenze della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione sulla cultura profonda di un Paese, sulla sua stessa anima verrebbe da dire: quale interesse per ciò che è nuovo e inaspettato, quale apertura al domani, potrà avere la società di anziani che in parte già siamo e verso la quale sempre più stiamo andando? Peraltro è anche lecito supporre che quella società non sarà nemmeno, in virtù della crescente presenza di anziani, più capace di conservare quel rapporto con il passato e con la tradizione che da tempo la modernità ha messo in crisi.
Il declino demografico non è solo italiano, certo, ma in Italia ha raggiunto livelli che sono inferiori solo a quelli del Giappone. I circa 440 mila nati nel 2019 non solo rappresentano il livello più basso dall’Unità d’Italia, ma non equivalgono neppure alla metà dei nati nel 1969. Siamo entrati insomma in quella che gli studiosi chiamano la «trappola demografica»: data la costante diminuzione delle nascite, e dunque del numero di donne in età fertile, a un certo punto diventa difficile se non impossibile risalire la china. E noi quel punto, forse, lo abbiamo sorpassato.
Non è chiaro cosa si debba fare per contrastare efficacemente una generale tendenza alla denatalità che certamente ha ragioni economiche, ma dipende anche da trasformazioni profonde nei valori e negli stili di vita dell’intero Occidente. Vari Paesi almeno ci stanno provando, ottenendo a volte qualche risultato. I governi italiani invece non vanno oltre misure palesemente inadeguate, tipo bonus bebè o asilo, o che anzi penalizzano i giovani come «quota cento» che, anticipando l’età della pensione, aumenta ulteriormente il peso sulle nuove generazioni del sistema previdenziale. Lo stesso reddito di cittadinanza, come si sa, finisce col penalizzare chi ha figli.
Il fatto è che, attenti al voto degli elettori, i nostri politici sono del tutto disinteressati a un crollo delle nascite già in atto ma che produrrà le conseguenze maggiori soltanto in futuro. In una società composta sempre più da anziani, la politica cerca di allinearsi all’andamento demografico (cioè all’età degli elettori) prestando poco ascolto ai bisogni delle nuove generazioni. Con le tendenze che conosciamo — diminuzione delle nascite, costante aumento dell’età media — le esigenze dei giovani rischieranno di avere sempre meno ascolto. Insomma, la «trappola demografica» rischia di portare con sé anche una «trappola democratica»: una politica dominata dalle esigenze degli anziani (e dal loro voto) non fa nulla per cercare di sostenere la natalità, favorendo così ulteriormente la denatalità e la prevalenza delle fasce più anziane.
Non è affatto detto che le cose debbano andare per forza così e che dalla «trappola democratica» non si possa provare a uscire. Si pensi a quante aspettative italiani e italiane di tutte le età riversarono anni fa su un leader giovane come Renzi, che presentava un programma di rinnovamento che per vari motivi (qualcuno, direi, dovuto a suoi limiti) non trovò realizzazione. La presenza o meno di leader capaci di non appiattirsi sugli interessi più immediati o le pulsioni più istintive degli elettori può fare la differenza. Purtroppo al momento di questi leader non se ne vedono. Ma non si vede neppure la capacità di mettere in agenda i temi legati alla denatalità da parte di forze e movimenti che a essi dovrebbero essere più sensibili almeno per motivi anagrafici, come i Cinquestelle o le cosiddette Sardine. E il fatto che neppure i giovani che si affacciano all’attività politica ritengano di dedicare un po’ di attenzione al nostro record demografico negativo, questo effettivamente preoccupa.
Fonte: Corriere della Sera.